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Indicando dei punti fermi, i dogmi hanno il compito di assicurare la trasmissione inalterata della fede nel corso del tempo. Ora, che il rapporto esiste fra vangelo e dogma? Anzi, che cosa s'intende per "dogma": una dottrina fissa, definita una volta per sempre? Oppure un insegnamento vivo, realmente aperto allo sviluppo? Nella storia del cristianesimo forse mai quanto oggi si è discusso di cambiamento. Di rado, però, si riflette su ciò che significa esattamente in senso teologico "sviluppo" - e sviluppo del dogma, in particolare. Eppure la chiesa è stata fin dal principio una comunità dinamica che ha cercato di annunciare il vangelo, nel mutare dei tempi e delle culture, in modo comprensibile. Altrettanto ricca è la tradizione, spesso dimenticata, di teorie dello sviluppo in campo dogmatico. Vale la pena, allora, disseppellire questi approcci e dar loro criticamente nuova vita. La chiesa in passato è stata assai più capace di cambiare di quanto molti non siano disposti a concedere. Perché non dovrebbe essere capace di farlo anche in futuro? «La chiesa è quello che è oggi soltanto perché ha saputo legare insieme continuità e discontinuità: ha saputo svilupparsi, per portare in modo sempre nuovo il vangelo nel suo presente. È questo il fine per il quale essa è inviata» (Michael Seewald). «Tracciando la storia della teoria sullo sviluppo dei dogmi, Seewald illustra sia la mutevolezza delle espressioni dogmatiche sia i diversi sforzi compiuti per comprenderle. La determinatezza del contenuto del dogma è qualcosa che continua a provocarci e indubbiamente richiede sempre nuove determinazioni, ma in definitiva corrisponde al fatto che il Dio di Gesù Cristo si è voluto determinare facendosi umano. E vale la pena rifletterci, proprio in un tempo stanco dei dogmi come quello che abitiamo» (Jan-Heiner Tück, Christ in der Gegenwart).